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“Leon” di Michela Malimpensa | Fuori dalla finestra: Un Mondo Di Parole

Questa è la storia di Leon, un mago di strada, un prestigiatore audace, un uomo senza tempo, un uomo del cambiamento.

Leon posava a terra il suo cappello straccio e la gente attorno a lui, entusiasta per i suoi numeri di magia, alla fine di ogni esibizione lo riempiva di monete.

Leon era colmo di gratitudine.

Raccoglieva il suo cappello, faceva un elegante inchino, spegneva la musica che usava per impreziosire l’aria e cominciava a riordinare i suoi arnesi.

Leon attraversava a piedi un’infinità di piccoli paesi, nel Mondo di Maipiù, con lui l’inseparabile Lumière, il suo fedele cagnolino, un sacco a pelo, e un enorme zaino pieno zeppo dei suoi attrezzi da mago.

Non gli serviva nient’altro.

Non riuscivi a dare un età a Leon, quando sorrideva aveva lo sguardo vispo di bambino, quando era assorto a guardare il cielo, potevi dargli cent’anni e anche più.

Leon dormiva dove capitava, ma i suoi luoghi preferiti erano i campi di lavanda, nel mese di giugno. Stanco ma spensierato, vi si stendeva con il suo sacco a pelo, tra le labbra uno stelo di quei minuscoli profumatissimi fiorellini viola, accarezzava il fedele cagnolino e guardava il cielo stellato. Sì perché per Leon la magia esisteva davvero, bastava solo osservare più attentamente i doni della natura. Non si poteva dubitare della sua esistenza finché esistevano i fiori, il vento, l’arcobaleno con i suoi allegri colori, la luna e le amate stelle.

Ma un giorno la sua vita cambiò all’improvviso. Il piccolo Mondo di Maipiù era in pericolo, la gente scappava perché alla morte dell’anziano e buon sovrano ne era subentrato uno molto maligno che aveva invertito tutte le regole:

MaiPiù tristezza, era diventata MaiPiù allegria.

MaiPiù carestia, era diventata MaiPiù cibo in quantità.

MaiPiù terrore, era diventata MaiPiù serenità.

MaiPiù guerra, era diventata MaiPiù pace.

Fu così che, in breve tempo, tutti dovettero scappare, e lasciare il loro amato Mondo di Maipiù.

Leon non si lasciò abbattere, d’altra parte il coraggio era insito nel suo nome. Raccolse le sue poche cose, e camminò a lungo per cercare un altro mondo dove vivere.

Prese anche ogni mezzo di trasporto possibile: barche, aerei, astronavi, razzi spaziali.

E alla fine sbarcò in un luogo che gli sembrò magico. Era magico perché gli ricordava il suo mondo: distese di campi fioriti, paesi allegri e pieni di case colorate, giornate tiepide di sole e vento. Finché non incontrò gli abitanti di quel posto.

Ad ogni suo cenno di saluto si voltavano dall’altra parte. Peggio ancora cambiavano strada se lo vedevano in lontananza. Nessuno voleva dargli alloggio, accampavano le scuse più assurde: che la locanda era piena, che stavano per chiudere, che l’affitto da pagare era molto alto. Spesso veniva deriso, lo guardavano camminare per le vie e poi ridacchiavano alle sue spalle additandolo come fosse un essere ridicolo, da prendere in giro.

Ma c’era anche chi gli diceva chiaramente in faccia che posto per lui non ce n’era, perché già erano in tanti loro, ci mancava un altro da sfamare, per di più straniero.

Leon, che viveva dei suoi spettacoli per strada, non ebbe neppure il coraggio di provarci a fare le sue esibizioni in quel luogo. Cominciò ad avere paura di poter essere scacciato malamente perché la cattiveria lì si respirava nell’aria, temeva di rimetterci la vita.

E così finì presto i suoi risparmi.

Cominciò a sentirsi sempre più triste, trascorreva il tempo pensando ai luoghi della sua terra, al mondo dove viveva, il Mondo di MaiPiù. Perché non importa quanta strada fai, il cuore è sempre con te, insieme a tutto ciò che gelosamente custodisce.

Pensò alle persone a lui care, a tutti quelli che aveva incontrato durante il suo girovagare per le piazze dei paesi, a quei pochi scambi di parole che però  sapevano scaldare il cuore. Pensò ai bambini, al loro vociare forte prima dell’inizio del suo spettacolo, e poi, proprio come per magia, si azzittivano tutti quanti, e i loro sguardi si facevano curiosi e vivaci nell’attesa dell’esibizione.

A Leon piaceva stupire, per lui non c’era nulla di più bello di suscitare meraviglia, sorpresa, incanto,  eccitazione e, perché no, anche una sorta di  evasione.

Ne aveva inventati tanti di numeri di prestigio, di ogni tipo. Gli veniva un’idea, e la strofinava finché non diventava magia.

Un giorno, verso il tramonto, stava attraversando un piccolo paese sempre insieme al suo fidato Lumière. Visto che non c’era nessuno in giro per le strade a quell’ora, decise di fermarsi nella piazzetta per far bere il cagnolino dalla fontanella di un lavatoio.

Tolse lo zaino dalle spalle ma nel poggiarlo per terra si rovesciò, e ne uscì il mazzo di carte con il quale faceva uno dei suoi numeri di prestigio.

Lumière, che in quei giorni era diventato apatico come il suo padrone, alla vista delle carte cominciò a scodinzolare e a girare attorno a Leon come a volerlo pregare di provare a fare il suo numero.

Leon raccolse le carte, guardò il suo cagnolino e sorrise. “E va bene Lumière, visto che non c’è nessuno proviamo a vedere se sono ancora capace di fare magie!” e scoppiò a ridere.

Era tanto che non succedeva.

Si sentiva tranquillo perché non c’era gente e quindi non aveva paura di essere schernito o cacciato via. Era una buona occasione per esercitarsi un po’, in attesa di tempi migliori.

Così, con Lumière come unico spettatore, cominciò a divertirsi e a far apparire e sparire le carte tra le sue mani. Era talmente assorto nella sua magia che non si accorse che il suo cagnolino in realtà non era l’unico spettatore. Un bambino lo aveva visto dalla finestra della sua casa ed era sceso nella piazza per osservarlo meglio. Poi ne arrivò un altro e un altro ancora. Intanto Leon si era messo a provare anche altri dei suoi numeri di prestigio, aiutato da un intraprendente e allegro Lumière.

In pochi minuti tutta la piazzetta era colma di bambini, la magia la si vedeva riflessa nei loro occhi limpidi e puri.

Arrivarono anche gli adulti, i genitori di questi bambini. Prima con aria di sfida, con passi veloci come a volere cacciare via quel mago, ma poi, una volta avvicinatisi di più, si incuriosirono a vedere le magie di Leon, e rimasero senza più parole. Senza più rabbia.

Sarà stato merito dell’illusionismo, della musica che aleggiava nell’aria, del piccolo Lumière che faceva le acrobazie, fatto sta che tutti gli abitanti di quel paesino in poco tempo si radunarono attorno alla piazza a osservare, ridere e a lasciarsi incantare.

Quando Leon terminò le sue esibizioni, ci fu un attimo di silenzio. Lui guardò i bambini, fece un inchino e si fermò. Non aveva il coraggio di posare a terra il cappello per le offerte.

Ma dal cielo arrivò cinguettando un colibrì, tutto colorato, che prese il cappello con il suo becco e lo posò a terra.

Una ragazza si avvicinò a Leon, gli sorrise e pose la prima moneta nel cappello.

Anche gli altri, incitati dai bambini, lasciarono delle monete nel cappello straccio, fino a riempirlo tutto.

La ragazza rimase vicino a Leon e quando la gente stava cominciando ad andare via, gli disse “ Lo sai che il Colibrì è simbolo di speranza? Raccontami da dove vieni.”

Si sedettero vicino al lavatoio e Leon si lasciò andare in un turbinio di emozioni, e tra pianti e risate, raccontò alla ragazza la sua storia.

La ragazza lo ascoltava incantata, e dopo qualche istante di silenzio gli disse: “Vedi Leon, cosa è accaduto stasera? Ognuno può avere un’origine diversa, avere la pelle scura o chiara, arrivare da Marte o dalla Luna, ma ognuno gioisce allo stesso modo. E il fatto che il colibrì sia arrivato proprio da te, quando ne avevi bisogno, è anche quella magia. Questi piccoli uccelli possono volare senza sosta per lunghe distanze. Rappresentano resistenza e resilienza. Proprio come la rappresenti tu, con tutto il cammino che hai fatto. Non ti sei arreso.”

“Stavo per farlo” rispose Leon. “Se non fosse stato per il mio amico Lumière non avrei più realizzato le mie magie. Ma in tutto questo mio vagare, mi sono reso conto che nessun giorno è uguale all’altro. Ogni mattina porta con sé un particolare miracolo, un proprio momento magico. Sta a noi coglierlo. E stasera è avvenuto qualcosa di davvero magico.”

“Cosa farai adesso Leon?” Le chiese la ragazza. “Se non hai un posto dove andare potresti venire alla Casa degli Artisti, dove abito anche io.“

“La speranza del Colibrì è come un tappeto magico, amica mia. Mi ha trasportato dal mio mondo ad un altro, e mi ha aperto a infinite possibilità. Grazie di cuore.”

“Anche grazie è una parola magica sai? Chi la riceve sorride sempre!” esclamò la ragazza, con il viso dipinto di gioia.

E fu così che i due, insieme al piccolo Lumière, si incamminarono verso la Casa degli Artisti. Là dove la diversità era una ricchezza, là dove si riunivano persone da tutto l’universo. Là dove ognuno poteva esprimere il suo talento e farne un’opportunità.

Là dove Leon poté ricucire le sue ferite, con un filo intrecciato di amore, amicizia e magia. Il mondo di Maipiù era sempre nel suo cuore. Perché l’amore viaggia con te, ovunque tu vada.