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“Il verde prato della speranza” di Monica Barzaghi | Fuori dalla finestra: Un Mondo Di Parole

Vorrei restare qui su questo filo d’erba sospeso per tutta la vita, accarezzare con le mie zampine questo tracciato verde smeraldo, non voglio volare via, è come se questo posto in qualche modo mi appartenesse, come se fosse in qualche modo collegato a me, sento le mie zampine sprofondare nel filo d’erba che c’è qui sotto, siamo una cosa sola, una casa sola.

Una folata di vento e ondeggio come su di un’altalena, le mie antenne si alzano per la gioia. Da quassù osservo tutti i bellissimi fiori di questo campo, sono tulipani per l’esattezza, tutti di diversi colori, gialli, rossi, rosa, blu, bianchi e neri. Anche io ho dei bellissimi colori, sono stata creata bicolore, sono rossa con i puntini neri. Alle volte mi domando perché sono nata così, il mio aspetto è un po’ buffo se ci pensate.

In natura, tutti gli animali cercano di mimetizzarsi, si confondono con il marrone delle cortecce degli alberi o con il verde dell’erba. Pensate che il mio colore preferito è proprio il verde, come vorrei essere verde.

Ma sono rossa con i puntini neri e non lo posso mica cambiare. Mentre sono qui a pensare che, se sono stata creata rossa con i puntini neri, un motivo ci sarà, le mie antenne captano l’arrivo di un umano un po’ bizzarro. Pantaloni larghi, camicia bianca tutta impiastricciata di diversi colori, indossa un cappello

piatto e un po’ floscio. Nella mano destra tiene salda una valigetta e sotto il braccio sinistro

un treppiedi con una tela bianca. Si guarda un po’ in giro, a destra e sinistra, poi posiziona il suo treppiedi e ci appoggia sopra la tela bianca. Apre la sua valigetta, ma da qui non riesco a vedere cosa ci sia dentro.

Spinta dalla curiosità mi avvicino un pochino volando sopra le spighe dell’erba per atterrare proprio lì vicino a lui. Lui mi vede, sorride. Dalla valigetta tira fuori dei tubetti colorati come i tulipani, il rosso, il nero, il verde, il bianco e il blu.

Prende una tavoletta di legno e sopra ci posiziona un pochino di ciascuno colore, poi prende un pennello e inizia la magia, la tela bianca inizia a colorarsi di verde, come il prato in cui siamo. Poi prende un pennellino più piccolo, lo intinge nel nero e inizia a delineare un piccolo ovale su di una foglia, poi prende il rosso e riempie l’ovale, infine riprende il nero e disegna dei piccoli puntini neri, due antenne e quattro zampine.

-Sono io! – esclamo. Ma lui non mi sente, eppure sorride.

Vorrei tanto ringraziare questo bizzarro signore per avermi messa lì nel quadro. Ma come posso fare?

Pian piano inizio a volare e mi appoggio sulla sua spalla. Che occhi grandi ha questo signore! Mi guarda ancora un po’ e poi avvicina il suo indice al mio muso.

-Piacere – dico, mentre salgo sulla sua unghia liscia e sporca di terra.

– Mi chiamo Alma, tu come ti chiami?-

Lui non sembra capirmi, ma continua a guardarmi mentre continuo a camminare sulla sua mano, una mano molto grande e deve essere anche forte, ma con me sopra sembra così delicata, si muove lentamente come se mi stesse facendo una carezza. Cammino un po’ sul dorso della sua mano, poi nell’interno della mano, piccole venature mi ricordano i tracciati dei campi coltivati, ogni tanto saltello su delle piccole gobbe alla base delle dita.

– Lavori nei campi? – gli chiedo.

Lentamente la mano scende vicino all’erba su cui mi ero appoggiata prima.

-Va bene, ho capito, scendo – mi rimetto sul mio filo d’erba.

Lui si siede di fronte a me e mi guarda ancora, poi pian piano vedo che una piccola goccia d’acqua gli scende dall’occhio, formando una riga bianca sul viso sporco di polvere nera. Guarda il cielo e il sole e in tutta fretta si rialza, asciugandosi gli occhi, prende i colori e li mette nella valigetta, smonta la tela e in meno di un minuto è già pronto per ripartire. Con passo svelto lo vedo allontanarsi nel campo verso il bosco, fino a sparire.

All’improvviso mi sento molto triste, cosa aveva quell’uomo? Fino a un attimo prima sembrava così felice. Come vorrei potergli dire che non si deve preoccupare di nulla, che io sono una coccinella magica e che porto fortuna. Ma lui non mi capisce, io non parlo la sua lingua.

Con pazienza aspetto che lui ritorni, finché un giorno eccolo lì , arriva con passo svelto, ancora abbracciato ad una tela, ancora bianca, è una nuova tela. Rimette tutto al suo posto e poi si guarda in giro.

-Sono qui!- dico.

Lui si gira e mi vede, è sorpreso.

– Sei ancora qui?- dice. – è strano che tu sia ancora qui.-

-Aspettavo te- rispondo.

Avvicina di nuovo la sua mano, io ci salgo sopra e mi fermo.

-Sono in posa!- cerco di comunicargli.

Questa volta lui mi capisce e sulla tela inizia a disegnare la sua mano con me sopra.

Appena finisce di dipingere con le mie zampine mi tuffo nella tinta verde e poi volo verso un angolino della tela.

-Ti ho scritto “Grazie”-

Lui mi guarda, le sue sopracciglia formano dei grandi archi sopra gli occhi, la sua bocca è spalancata.

-Ehi tu! Chi ti ha detto di oziare! Torna subito a lavorare!-

Dal bosco a passo svelto arriva un omone con la faccia tutta tirata, inizio a tremare come le foglie.

-Cosa stai facendo? Non c’è tempo per queste cose!- dice mentre prende la tela e la rompe a metà buttandola in terra con me sopra. Rimbalzo e finisco a pancia in su sulla tavola dei colori.

-Aiuto! Aiuto! Non riesco a girarmi – urlo a più non posso.

L’omone ha preso per un braccio il mio bizzarro amico, gli sta facendo male e io non posso farci niente, come vorrei avere un briciolo in più di forza. Il mio amico però è forzuto e con una mossa di karate riesce a liberarsi dall’omone. Corre verso di me e con delicatezza mi tende il dito, io mi aggrappo e torno di nuovo sulle mie zampette, le mie ali però sono tutte impiastricciate di pittura.

-Che disastro!- esclamo.

L’omone però non si dà per vinta, ci raggiunge e urla in faccia al mio amico

– Se vuoi che ti paghi devi lavorare, brutto pezzo informe! Ora torna subito nei campi o te ne

pentirai!-

Il mio amico si gira, mi guarda, i suoi occhi sono lucidi, cerca di asciugarli con la manica della camicia e poi svanisce inghiottito di nuovo dall’oscurità del bosco lì a fianco.

-Uff, come faccio ora – mi guardo il dorso – Sono diventata verde! Ma… non sono per niente

felice! Mi manca il mio amico e non posso più volare, come posso fare?-

Mentre rifletto su quanto successo, cammino verso il bosco.

Arriva sera e poi mattina, finalmente raggiungo il campo dove lavora il mio amico. Chissà se riesce a riconoscermi ancora, mascherata in questo modo, mi domando. Pian piano mi avvicino al suo piede e ci salgo sopra. Lui all’improvviso mi vede, ricompaiono gli archi grandi sopra i suoi occhi. Una goccia di acqua gli cade dal viso e io mi ci tuffo sotto.

-Finalmente una doccia!- esclamo contenta.

Lui ride. Pian piano il colore verde svanisce, ritorno quella che ero, ora sono felice, perché sono con lui e anche lui è felice. Mi tende il dito, ci salgo sopra, poi mi appoggia sulla sua spalla e inizia a camminare dalla

parte del campo da dove sono arrivata, cammina svelto, sta quasi correndo, sì stiamo correndo a più non posso! Le nostre risate si confondono con il rumore del vento arriviamo nel campo, lo superiamo fino ad arrivare in un piccolo paesino con tante case. Stanchi ci sediamo su di un gradino, vicino a un vecchio muro tutto pieno di crepe. Dalle tasche il mio amico tira fuori un tubetto di colore verde, con le dita inizia a disegnare sul muro un meraviglioso prato, sembra lo stesso in cui abitavamo prima. Con delicatezza poi mi appoggia lì sopra, sospira e sorride. Lentamente si gira, dietro di lui c’è una bambina con la mamma che osservano il quadro appena dipinto.

-Stupendo, ma mancano i fiori- dice la signora.

– Signora, vorrei disegnare i tulipani, ma non ho i soldi per poter comprare altri colori per finirlo, quelli che avevo, li ho persi –

– Non c’è bisogno di partire con tutti i colori per disegnare dei fiori. Ad esempio, potrebbe iniziare dai girasoli, sono i fiori preferiti di mia figlia e le basta comprare solo il giallo e il nero.

Domani, venga da me in via Verdi 42, alla panetteria Il Forno, le insegnerò a fare il pane così da avere i soldi per poter finire il suo magnifico quadro –

-La ringrazio signora, come si chiama? –

-Mi chiamo Speranza e questa è mia figlia Alma

– Piacere, io mi chiamo Vincent-