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“Fili Volanti” di Alessandra Visconti | Fuori dalla finestra: Un Mondo Di Parole

La lenza era stata lanciata lontano.

Trasportata dalla corrente il mulinello correva veloce…zac!

Il filo con un rumore secco si era staccato. L’avevano visto volteggiare leggero in aria e poi più niente.

Sulla spiaggia di un’isola non troppo lontana qualcosa di luminoso brillava al sole.

“Lascialo stare!” gridò la mamma  “ E’ solo un’ amo ed è anche arrugginito! Se non la smettono di pescare, qui sta diventando tutto sporco e pericoloso”, diceva la mamma allontanando il suo bambino.

Ma quello che per uno è uno scarto, per un altro può essere l’inizio di un nuovo gioco.

E così tra un filo e un rametto nacque un sodalizio, e un papà assieme al figlio costruirono una canna da pesca e con un pezzetto di pane all’amo qualche pesciolino aveva anche abboccato.

Come in  ogni gioco che rispetti il bambino si stancò presto e  così quel filo e il rametto vennero lasciati adagiati sullo scoglio. Il filo però era destinato a trasformarsi.

Intrecciato ad altri filli di colori diversi, diventò un portachiavi. E girò in un lungo e in largo l’Isola attaccato alla chiave del motorino. Aria fresca, sole cocente. Serate in riva al mare, qualche timido battito di cuore, cenno di un piccolissimo amore appena nato. E poi, sciolto ogni legame, il filo tornò a ad essere libero. Servì per aggiustare uno strumento.

Tirato alla perfezione cominciò a vibrare o meglio a suonare.

E suonando suonando incontrò o’ marranzano.

Divennero amici per le note,  al chiaro di luna nei racconti d’estate s’incontravano per suonare nuove musiche fuse come il formaggio negli arancini, divini!

Quel filo che un giorno per sbaglio era partito da un luogo caldo e lontano, volando leggero sul mare quasi fosse invisibile, era atterrato in una terra calda e brulla ma molto accogliente.

E lì aveva scoperto che un filo può essere molto di più di quello che pensava. Aveva capito di essere speciale.

Ad un aquilone che non riusciva a volare si prestò volentieri.

Se alzo gli occhi  ancora oggi li vedo in alto nel cielo leggeri, volteggiare.

MAC… CHE SORPRESA!-UN RACCONTO DI ROBERTA

“Non soffocare la tua ispirazione e la tua immaginazione, non diventare lo schiavo del tuo modello”- Vincent Van Gogh

I nostri corsisti di scrittura creativa, guidati da Ivil Iomy, entrano in contatto con la propria immaginazione armati di carta e penna dando vita a nuovi racconti. Come quello che ti presentiamo oggi, scritto da Roberta Corti dal titolo “Mac…che sorpresa!”. Siediti comodo e lasciati trasportare dalla sua storia.

MAC…CHE SORPRESA!

Ci eravamo dati appuntamento da Mac Donald per le 19.30 per un panino veloce prima di rientrare a casa. Mi guardai in giro, ma non lo vidi. Di solito il mio amico sedeva sul tavolone con i videogiochi incorporati nel piano, un po’ perché, nonostante l’età, amava ancora i videogiochi e un po’ perché detestava le altre postazioni. Diceva che i tavoloni con gli sgabelli alti gli davano un senso di “appollaiato”. Non ho mai capito cosa volesse dire con questa frase, ma Paolo era un tipo originale. Tanto originale da non volersi sedere neppure sui tavoli per quattro persone con le panche contrapposte perché diceva che gli sembrava di essere in treno.

Non riuscivo proprio a vedere Paolo all’interno del locale. Feci passare tutti i totem digitali dove si poteva scegliere il menù e pagare, ma non era neppure lì. Mi guardai ancora in giro e alla fine eccolo di spalle al bancone della caffetteria con un improbabile cappello di pelo che gli copriva anche le orecchie nonostante la temperatura della giornata fosse mite.

Paolo stava chiacchierando con la cameriera e dalla coda che si era formata dedussi che era un po’ che la stava intrattenendo. La ragazza puntava, quasi ipnotizzata, i suoi occhi scuri e brillanti verso gli occhi del mio amico che, dall’alto dei suoi quasi due metri di altezza, dominava la scena. Mi avvicinai per cercare di velocizzare l’ordinazione di Paolo e per distoglierlo da qualsiasi discorso avesse cominciato, anche se già immaginavo di cosa stesse dissertando.

“Sogno un futuro in cui gli uomini possano vivere in armonia con la natura,” stava recitando Paolo mentre disegnava un ampio cerchio con le braccia, “questo non è solo il principio su cui il WWF fonda la sua attività, ma anche il mio”.

Guardai sempre più preoccupata la fila delle persone in attesa del loro caffè, ma stranamente non notai segni di impazienza. La ragazza e il ragazzo proprio dietro Paolo stavano flirtando, sussurrandosi chissà quali dolci parole. Un anziano guardava divertito un bimbo che si era sporcato la bocca con il ketchup facendolo sembrare un piccolo pagliaccio. Seguiva una signora che lanciava occhiate interminabili e vogliose alla vetrinetta con brioche e torte.
Ci risiamo. Paolo sta facendo la solita magia: quando parla con quella sua voce profonda e calma è come se l’armonia della natura si riversi anche nelle persone che gli stanno accanto.

Non riuscivo, però, a decifrare cosa aveva in animo la cameriera: non aveva ancora proferito una parola, le guance erano di un rosso acceso e le mani le tremavano a tal punto che, nel tentativo di decorare la panna montata di un caffè, rovesciò sul bancone una quantità esagerata di smarties che rotolarono fino a terra.
Il mio amico, incurante di tutto e di tutti, la guardò divertito e disse: “Ma che bella cascata di colori, sembra che la primavera si stia spingendo anche qui grazie a questi fantastici dischetti colorati di cioccolato e zucchero”. Poi si bloccò a fissare qualcosa che aveva attirato la sua attenzione ad un lato del bancone ed esclamò: “No, non ci credo questo deve essere un segno del destino: le Cioccorane! Io adoro questi cioccolatini a forma di rana. Entrando, ho notato che questa è la settimana dedicata ad Harry Potter. Lo so che gadget vari e dolcetti sono tutti a tema, ma mai e poi mai avrei pensato di trovare le Cioccorane”. Senza quasi pendere fiato, continuò: “Io trovo rane e rospi creature fantastiche. Lo sai che sono un volontario per il salvataggio dei rospi? E oramai ci siamo, è la stagione in cui i rospi si spostano dal bosco per andare verso l’acqua a deporre le uova. Alla sera al calar del sole…”

Mi aspettavo che da un momento all’altro la ragazza avrebbe chiamato il responsabile per far buttar fuori Paolo o forse che lei stessa lo avrebbe cacciato e colpito con il primo arnese da bar che le fosse capitato a tiro. La cameriera cominciò ad agitare le mani come in cerca di qualcosa, poi aprì un cassetto e ne estrasse uno spillone di legno per capelli.  Io cominciai a sudare freddo e, mentre già vedovo nella mia mente una scena di sangue, guardai meglio l’oggetto e con mia grande sorpresa vidi che sull’estremità opposta alla punta aveva intagliato… un rospo! La ragazza alzò lo spillone, se lo sistemò tra i capelli, si tolse il camice da barista e con inaspettata agilità scavalcò il bancone. Con camminata decisa si avvicinò al mio amico, lo guardò negli occhi e, indicando la sua stessa maglietta rosa con un panda e la scritta WWF, finalmente parlò: “Io e te ora andiamo a salvare il mondo e renderlo migliore”.
Allungò il braccio, prese Paolo per mano e se lo portò via verso una notte di primavera in cui uomini e animali non erano forse così diversi.

Io, che ero rimasta a seguire tutta la scena praticamente in apnea, feci un respiro profondo e cercai di tornare in me, indecisa se arrabbiarmi per essere stata mollata così su due piedi o gioire per la nuova conquista fatta del mio amico. Decisi di risolvere la situazione affogandomi in una cioccolata calda con panna e una bella fetta di torta Sacher. Non è forse risaputo che il cacao è un toccasana per l’umore tanto da essere definito “l’ormone della felicità?”

Mi avvicinai al bancone e ordinai. Il sorriso ampio e accattivante del nuovo barman contribuì a farmi tornare il buon umore. Di una cosa ero sicura: avrei ricordato quella serata strampalata per molto tempo e avrei avuto un simpatico aneddoto da raccontare agli amici nelle future serate da Mac.

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LA FABBRICA DELLE STORIE

FUMETTO DI GIOIA

“I fumetti sono le favole per gli adulti”– così diceva Stan Lee, e chi li scrive e li crea lo sa bene!
I nostri ragazzi iscritti al corso di fumetto, tenuto da Ivil, tutte le settimane danno vita e forma alle proprie storie unendo parole e immagini. Ve ne diamo un assaggio mostrandovi uno dei lavori di Gioia, giovanissima corsista.

E tu? Ti piacerebbe imparare a raccontare le tue storie attraverso un fumetto?
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PESCI ROSSI-UN RACCONTO DI ELENA

“La logica vi porterà da A a B. L’immaginazione vi porterà dappertutto”– così diceva Albert Einstein.
I nostri corsisti di scrittura creativa, guidati da Ivil Iomy, entrano in contatto con la propria immaginazione armati di carta e penna dando vita a nuovi racconti. Come quello che ti presentiamo oggi, scritto da Elena Dell’Oro dal titolo “Pesci Rossi”. Siediti comodo e lasciati trasportare dalla sua storia.

PESCI ROSSI

Inizio a sentire mancanza di casa. Insomma, è bello cambiare acqua di tanto in tanto, a chi non piace? Può anche essere stimolante, però non posso negare che ho sempre amato tornarci dopo lunghe assenze: mi piace appoggiare la testa sul mio cuscino, sdraiarmi nel mio letto, usare le mie cose… tutto ha un profumo così rassicurante e, dopo un po’ che sono lontana, nutro una certa nostalgia per questa routine.

«Puoi dirlo forte Lily, e poi inizia a far freddo qui dentro! Non appena sarà possibile porterò te e i bambini al mare. Quella vecchia megera, ci ha dimenticati qui nella vasca come l’ultima volta.»

Lui è mio marito Jim, ma non fateci caso. Gli piace ingigantire le cose, però non ha tutti i torti. La Signora Mildred, la donna che ci ha vinti alla pesca di paese da qualche mese ormai, non è molto attenta a ciò che fa.

«Non la vorrai difendere adesso?!»

«Jim! Fatti gli affari tuoi. Se avessi voluto intervenire, ti saresti fatto un racconto tuo. Ora parlo io, tu pensa ai bambini.»

Come vi dicevo, la signora Mildred a volte commette degli errori, ma non lo fa apposta: ha una certa età e vivendo tutta sola, ogni tanto le sfugge qualcosa. Ieri, ad esempio, voleva cambiare l’acqua della nostra boccia, e per farlo ci ha messi nella vasca da bagno. Un gesto davvero carino specialmente per i piccoli che qui hanno tanto spazio per giocare e si divertono un mondo. È come quando voi andate al parco, solo che vi capita anche di tornare a casa. Con la Signora Mildred non sempre il rientro è assicurato, almeno non nelle successive 24 ore. Ed eccoci qui, in questa immensa vasca, ad aspettare il suo ritorno.

«Puoi dirlo forte Lily! Oh, parli del diavolo… Eccola, è tornata finalmente. Adesso fa la faccia.»

«Quale faccia?»

«Quella che fa quando si accorge di essersi dimenticata qualcosa.»

Dovreste vederla anche voi, perché è davvero buffa! Si mette una mano sul fianco e fa schioccare l’altra sbattendo il palmo sulla fronte, mentre la sua bocca si apre in una “o” perfetta. Rimane qualche secondo in quella posizione, poi fa spallucce e se ne va (infatti non credo che torneremo presto nella boccia).

È davvero buffa la Signora Mildred. Come tutti i pomeriggi, anche oggi, dopo il sonnellino pomeridiano, deve essere andata da qualche parte. Basta vedere come si è agghindata.

«Jim, secondo te, la Signora Mildred ha un amante?»

«Un amante?! Non si ricorda dei suoi pesci rossi figuriamoci se ha un amante!»

«Guarda che è ancora una bella donna, anche se è così svampita. Che poi, parli proprio tu che hai la memoria di un pesce rosso!»

«Ma io sono un pesce rosso.»

Non gli si può dir nulla, effettivamente.

«LILY! Guardala, ma cosa fa?! È orribile, bambini non guardate chiudete gli occhi!»

«COSA SUCCEDE, COSA HAI VISTO?!»

«La signora Mildred si sta togliendo la faccia.»

«Jim…»

«Se la sta cancellando.»

«Jim…»

«Le schizza sangue ovunque, guarda il muro è tutto rosso!»

«JIM!!!»

«Oh mio Dio, mi sento svenire.»

«Calmati, si sta solo struccando.»

«Cosa sta facendo?»

«Si toglie il trucco dal viso. Tutti i colori che prima aveva sulla faccia, non facevano parte della sua pelle, e quello sul muro non è sangue si chiama rossetto.»

«Ah, falso allarme!  Ma perché lo fa?»

«Il rossetto sul muro non te lo so spiegare; per i colori sulla faccia: te l’ho detto, secondo me, ha l’amate.»

Non so come siete abituati voi, ma quando una signora si trucca e si veste così accuratamente, secondo me, è perché vuole far colpo. Magari ha conosciuto qualcuno di cui si è innamorata. Magari è per quello che è così svampita!

«Lily, non voglio interrompere il tuo sogno romantico, ma è più probabile che la sua sia demenza senile.»

«Aaah come sei noioso! Vuoi dire che quando sarò vecchia e non capirò più nulla non ti potrò più amare?»

«Mi auguro di no. Mal che vada ti amerò io per due.»

«Oh Jim, ecco perché ti amo tanto. Sarai sempre il mio brontolone preferito!»

Jim è così. Un po’ scorbutico e fatica a reagire a situazioni scomode come questa, ma alla fine se ne esce con queste frasi che mi fanno capire che vale la pena sentirlo brontolare standomene in acqua fredda e lontana da casa.

Non è poi così male questa vasca se ci sono lui e i bambini, potrei abituarmici e addirittura chiamarla casa.

 

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LA FABBRICA DELLE STORIE

ESSE-UN RACCONTO DI CHIARA

“La salvezza umana giace nelle mani dei creativi insoddisfatti”– così diceva Martin Luther King.
I corsisti di scrittura creativa guidati da Ivil Iomy, sperimentano tutte le settimane la potenzialità della propria fantasia dando vita a nuovi racconti. Come quello che ti presentiamo oggi, scritto da Chiara Perego dal titolo “Esse”. Siediti comodo e lasciati trasportare dalla sua storia.

ESSE

6.39. La sveglia sul comodino, imperturbabile, squillava come sempre la preghiera del mattino.

La sua mano, precisa come quella di un chirurgo, si allungò di quanto bastava per premere il tasto OFF che avrebbe decretato l’inizio di una lunga giornata, un’altra.

Occhi aperti, coperte tirate fino al naso, mente ancora sgombra dai pensieri: quella situazione di grazia, che si verificava puntualmente ogni mattina, durava pochi secondi; l’orologio quasi non arrivava alle 6.40 che subito le gambe sgattaiolavano giù dal letto, in cerca delle pantofole calde e morbide, e poi subito in bagno per riguadagnare le sembianze da essere umano presentabile alla Società. La notte, infatti, aveva un effetto trasformante su Leo: pareva che l’impalcatura che costruiva con fatica durante il giorno venisse abbattuta durante il riposo notturno; così, al risveglio, tutto da rifare.

Dopo la rasatura, il dopobarba, alcuni minuti spettavano alla pettinatura: i suoi capelli erano corti, ma non cortissimi, e l’indole sbarazzina di quei fili dorati lo costringeva a lunghe operazioni di fissaggio a suon di pettine e phon.

In particolare, sul lato destro del volto, un ricciolo ribelle tentava sempre di ricadergli davanti all’occhio, richiedendo una buona dose di pazienza per convincerlo a ritornare al suo posto.

«Prima o poi vi taglio tutti!», minacciava Leo ma poi subito si pentiva: già una volta era stato costretto a raparsi a zero, quando la sua ex fidanzata si era offerta di sistemargli i capelli, che, allora, erano un groviglio di boccoli adolescenziali: solo che lei, macchinetta in mano, si era distratta nel momento clou e gli aveva asportato una striscia di capelli, costringendolo, così, a eliminare anche il resto.

Il risultato non l’aveva assolutamente soddisfatto ma almeno sua madre aveva approvato quel look, decisamente più ordinato e serio.

Operazione successiva: vestirsi. Leo aprì l’armadio, prese dal secondo cassetto un paio di mutande e calze pulite, sfilò dall’appendino una camicia bianca e la sistemò vicino ai pantaloni e alla giacca, riposti accuratamente sulla sedia di fianco al letto la sera prima: non poteva sbagliare abbinamento, tutti i suoi vestiti per l’ufficio erano di un blu scuro che lasciava poco spazio all’errore.

Soprabito blu, zaino blu, mocassini lucidati che sembravano appena usciti dal negozio (sua madre lo ripeteva sempre: per capire com’è una persona, guardale le scarpe!): ora era pronto per affrontare la Società, là fuori.

7.20. Aprì la porta di casa e, puntuale come un esattore delle tasse, gli si presentò immediatamente la sua dirimpettaia, la Signora Twinny, che lo squadrò come faceva sempre da quando si era trasferito nel condominio di quel quartiere benestante, come a cercare un piccolo dettaglio fuori posto, un ricciolo ribelle, una scarpa infangata, che lo avrebbe reso meritevole della sua disapprovazione.

«Buongiorno Signora Twinny» disse educatamente.

«Oh, buongiorno! Esce così presto per andare al lavoro?»

«Già, mi piace fare due passi per arrivare in ufficio… Sa, poi mi siedo alla scrivania e non mi alzo per tutto il giorno!»

«Ma non attraverserà mica il parco?! E’ pieno di brutti ceffi!» sentenziò lapidaria la vicina.

L’ufficio distava circa 3 km dalla sua abitazione, si trovava in un quartiere riconvertito da qualche anno a zona commerciale e per raggiungerlo occorreva attraversare un parco cittadino, uno di quelli poco frequentati: c’era sempre il rischio di imbattersi in qualche poco di buono, così gli avevano detto i vicini, o di passeggiare in vialetti dal manto dissestato e poco puliti, per questo veniva snobbato dalla maggior parte degli abitanti della zona.

A Leo, tuttavia, piaceva attraversarlo, forse proprio perchè di rado si incontrava qualche anima viva la mattina presto: poteva godere del silenzio prima di tuffarsi nella Città e sentire la nebbiolina umida che gli accarezzava la faccia.

Naturalmente aveva taciuto la cosa a sua madre, questa abitudine l’avrebbe fatta preoccupare non poco e si sa, gli anziani devono stare tranquilli.

Lanciò uno sguardo all’orologio: in ritardo di 5 minuti sulla tabella di marcia! Con passo sostenuto sarebbe arrivato giusto in tempo per timbrare il cartellino. «Dannata Signora Twinny!»

Un passo dietro l’altro, testa bassa per offrire al freddo di novembre la minore superficie attaccabile, scrutava con la coda dell’occhio i cespugli ai lati del vialetto e i rami frondosi degli alberi per scovare qualche scoiattolo o qualche altro animale che la Città aveva risparmiato.

Doveva anche stare attento, al contempo, a non calpestare fango, gomme da masticare, escrementi e altre trappole infernali che lo avrebbero messo in difficoltà in ufficio! Uh, l’ufficio… un ammasso di automi senza passione nè empatia verso il prossimo; l’aveva capito subito, 3 mesi prima, quando si era presentato il primo giorno di lavoro con un vassoietto pieno di paste per i colleghi: nessuno le aveva mangiate. «Sai, da noi non si usa e i capi non vogliono che si mangi al di fuori della pausa pranzo».

Era riuscito, comunque, a farsi notare grazie a una camicia grigia a mezze maniche con stampati dei piccoli windsurf che gli era costata una serie di battute da parte dei colleghi e un richiamo ufficiale da parte del suo capufficio: «Qui non siamo al mercato, Signor Leo, l’Azienda richiede un abbigliamento consono all’immagine rispettabile e di affidabilità che essa riveste nella Società, pertanto…»

Quella sera stessa, appena arrivato a casa, aveva gettato la camicia nella “cesta dei svestiti”, un contenitore di vimini dove conservava tutti quegli abiti che oramai non poteva più permettersi di indossare perchè troppo colorati, troppo appariscenti, troppo disegnati, insomma, sempre troppo qualcosa. Non aveva il coraggio di disfarsene, ogni capo gli ricordava un momento della sua vita, quasi sempre felice…. Come la felpa giallo limone, il regalo di sua nonna Susanna per la laurea: «Leo, non prenderti mai troppo sul serio! Siamo nati per essere felici e ridere, ridere, ridere fino alla morte, ricordatelo!» gli aveva raccomandato mentre gli porgeva il pacchetto. Indossarla lo faceva sentire bene, pareva che ogni fibra di tessuto fosse intrisa delle parole di sua nonna e il suo umore migliorava repentinamente. Addirittura, gli sembrava che la felpa avesse un effetto snellente, nascondendogli la pancia, che stava cominciando a lievitare a causa delle ore passate alla scrivania.

I ghigni e i sussurri dei suoi amici lo avevano costretto, però, a rinunciare al piacere di indossarla.

7.50. «Cazzo, è tardi!» Leo affrettò il passo, un fumetto di aria umida si alzò dal bavero del soprabito, uno sguardo ancora all’orologio. «Speriamo che il capo non sia ancora arrivato!»

All’improvviso si bloccò in mezzo al vialetto, colpito da una strana sensazione: si sentiva scrutare da lontano, cosa che gli succedeva spesso in quella Città, ma il peso di quello sguardo era diverso dal solito: sembrava… benevolo.

Guardingo, riprese a camminare, sempre facendo attenzione a dove mettesse i piedi, strizzò gli occhi per cercare qualche indizio nella nebbia e risolvere quel mistero.

Istintivamente si mise la mano sulla tasca dove teneva il portafoglio, le voci allarmiste dei suoi vicini gli risuonavano in testa. Alle sue spalle avvertì un movimento di passi, una corsa, un affanno che sembrava dirigersi verso di lui. Senza voltarsi indietro, si mise a correre.

Era pesante. Era peloso. Era fradicio ed emanava un odore nauseabondo. Leo stava a terra, con un enorme cane bagnato sopra di lui che lo scrutava con occhi grandi a pochi centimetri dal suo naso. Rimase immobile, e così ogni cellula del suo corpo, per una manciata di secondi. «La prima regola per affrontare un orso è quella di fingersi morto», questo gli aveva insegnato suo zio Alfred, il fratello di suo padre, in occasione dell’unico campeggio che avevano fatto insieme. Ma, ora, non si trattava certo di avere a che fare con un orso: quell’affare peloso che stava sopra di lui gli sembrava più fastidioso che pericoloso.

Così, ricacciando indietro i ricordi giovanili, ignorando le parole che sempre gli aveva detto sua madre in merito ai cani: «Non toccarli! Non puoi sapere cosa gli passa per la testa», aveva cautamente spostato l’animale e si era rialzato, passandosi una mano sui vestiti sgualciti e infangati.

«E adesso?» pensò, «non posso davvero presentarmi in ufficio così conciato!»

Nel frattempo il cane gli si era avvicinato per un’usmatina, prima i mocassini, poi i pantaloni, poi un po’ più in su… questo umano doveva proprio piacergli perchè si mise a leccargli la mano. «Cosa fai!?! Sciò, via, torna dal tuo padrone!»

Ma quello niente, gli stava attaccato. Leo lo allontanò nuovamente, si pulì la mano nei calzoni tanto ormai… e cominciò a scrutare il parco in cerca del proprietario. Si girò in tutte le direzioni, fece una breve corsa  per raggiungere una panchina, vi salì sopra per avere una visuale migliore, ma niente, sembrava non ci fosse anima viva nel parco. Controllò allora se, per caso, al collo del cane non vi fosse una medaglietta, magari con un numero di telefono da chiamare in caso di smarrimento; tese la mano verso il muso dell’animale, il quale, senza troppo pensarci, si avvicinò e cominciò a leccargliela nuovamente; con l’altra mano Leo cercò di scostare il folto pelo tutto ammassato alla ricerca di un collare, e lo trovò. Era di pelle, ormai consunta, e portava attaccata una medaglietta romboidale che portava incisa solo una lettera: “S”. Niente da fare.

8.02. «Bene: e adesso che si fa? Non posso andare in ufficio, i pantaloni sono da buttare, ho una palla di pelo sudicia tra i piedi… come faccio a staccarmela di dosso?»

Il cane lo guardava tranquillo, come se lo conoscesse da sempre. Leo guardava il cane incredulo, perchè quello lo guardava tranquillo, come se lo conoscesse da sempre.

Non aveva mai avuto un cane in vita sua, nè gatti, nè criceti, gli era stato concesso solo qualche pesciolino rosso, il chè, inevitabilmente, gli aveva mostrato periodicamente cosa vuol dire morire, soli, isolati in una boccia di vetro senza aver mai conosciuto il mondo.

Eppure lui, come tutti i bambini e i ragazzi, lo avrebbe tanto voluto un animale che gli tenesse compagnia. Insomma, più di quella di un pesce rosso! I suoi genitori erano sempre stati inflessibili sulla questione.

Anche ora che abitava da solo, in quell’appartamento di un condominio signorile, nessuno dei suoi vicini possedeva un animale domestico, anche se il regolamento di condominio non lo vietava esplicitamente; era una di quelle regole non scritte che talvolta sono più forti della legge e che si erano consolidate nel corso dei decenni, favorite anche dal fatto che non c’era mai stato un grande ricambio di condomini.

Si decise a ripartire, da solo, e con passo deciso percorse una ventina di metri in direzione di casa; non si guardò indietro appositamente, per non incoraggiare la socievolezza dell’animale.

Girò l’angolo e con uno scatto si nascose dietro il tronco di una quercia, indirizzando lo sguardo da dove era partito per scrutare la situazione: il cane era rimasto lì, seduto, docile, con lo sguardo curioso indagava i dintorni in cerca di…. Ma certo, in cerca di lui!

All’improvviso Leo sentì una fitta allo stomaco, gli succedeva spesso quando provava emozioni forti. Già, ecco, si sentiva in colpa. Aveva abbandonato al suo destino quel povero cane, “S”, che gli era sembrato del tutto docile e affettuoso, molto più di tante persone che conosceva da tempo in quella Città, e solo perchè… perchè… beh, perchè sua madre non avrebbe approvato… e nemmeno i suoi vicini di casa… e nemmeno i suoi colleghi, la sua ex fidanzata, il panettiere, il benzinaio… tutti! Nessuno in quella Città avrebbe capito. In fondo era solo un cane, piuttosto sudicio, per di più.

Forse proprio quei pensieri gli diedero una scossa di adrenalina, o forse il ripensare alla sua vita solitaria, ai suoi vestiti blu, alla sua casa sempre in ordine e pulita.

«Ehm, pronto… sono Leo, ufficio contabilità, 3° piano. Volevo avvisare che… beh, ho avuto un contrattempo… no, oggi non riesco proprio a venire al lavoro. È che…»

Leo passò in rassegna tutto il suo personale campionario di scuse ma se ne uscì con una abbastanza banale: «Ho l’herpes, nulla di grave ma preferisco non rischiare di contagiare i colleghi… dovrebbe risolversi in qualche giorno».

Ora non restava che iniziare quella folle avventura.

«Qui, Esse!»

Il quadrupede lo guardò per un secondo, sembrava non aspettasse altro! Trascinando le tozze zampe in una corsa decisamente sgraziata, raggiunse quell’uomo così simpatico, gli si sistemò al fianco e lo seguì verso casa.

Leo entrò guardingo nel cortile. «Via libera, Esse!»

Salirono di corsa le scale, Leo aprì la porta quasi in apnea e la richiuse velocemente dietro di sè, sperando che la Sig.ra Twinny fosse occupata in qualche faccenda domestica.

Il cane si aggirò sospettoso per la casa, annusando tutto ciò che capitava lungo il suo percorso, e si sistemò, infine, sul tappeto del bagno.

A Leo scappò un sorriso: «Hai capito anche tu che hai bisogno di una bella pulita!»

Prese una ciotola con acqua tiepida, una spugna, e cominciò ad accarezzare il pelo. Il cagnolone si agitava sotto la sua mano, non per ribellarsi ma per incanalare quelle carezze in modo che durassero il più a lungo possibile.

«Punto 1: ripulita. Fatto! Non credere di essertela cavata con così poco, ci vuole una bella gita alla toilette per cani questo pomeriggio!»

«Punto 2: cibo, collare nuovo e guinzaglio»

Leo raccomandò al suo nuovo amico di non ridurre la casa a brandelli e, tra l’atterrito e il rassegnato, uscì di casa per evadere anche il punto 2 della sua lista.

Quando Leo ricomparse nel cortile portava nella mano destra un sacchetto pieno di succulente scatolette per cani e nella mano sinistra un sacchetto più piccolo con un nuovo collare rosso abbinato a un elegante guinzaglio.

«Chissà se troverò ancora la casa!» pensò Leo uscendo dall’ascensore e preparando le chiavi.

«Buongiorno!» disse squillante la Signora Twinny aprendo la porta all’improvviso e piombando in mezzo al pianerottolo bloccandogli la strada.

«Ehm…. Salve Signora Twinny». Leo nascose le buste dietro la schiena, veloce come un lampo.

«Già tornato dal lavoro? Così presto? Stavo bevendo la mia tisana al mirtillo di metà mattina e ho sentito la chiave che girava nella serratura della porta».

«Ehm… sì Signora Twinny, spero di non averla disturbata».

«No, figurati, è che, sai, a una certa età, non si ha molto da fare: dopo aver pulito il pavimento, i bagni e il balcone… Piuttosto, mi è sembrato di sentire dei rumori strani provenienti da casa tua».

«Mmm… no, Signora Twinny, deve aver sentito la televisione, la tengo accesa anche quando non ci sono per paura dei ladri».

«Ah, certo… Però, stamattina, ho trovato sul corridoio, vicino alle scale, delle impronte di fango… sembravano… ma sa, a una certa età, magari non ho visto bene».

«Signora Twinny, con questo tempaccio è probabile che chi sia passato dalle scale abbia lasciato un po’ di sporco. Non doveva venire forse l’elettricista per riparare l’antenna?»

«Uh, probabile… chissà… comunque, prima che lei se ne vada, le ricordo che deve ancora pagare la rata delle pulizie delle scale del mese scorso!»

«Sì, Signora Twinny», disse sospirando, «appena riesco passerò a saldare il debito».

«Sarà il caso! Voi giovani ve ne approfittate sempre di noi povere vecchiette!»

In quel momento Leo vide lo sguardo della Signora Twinny che si spostò repentinamente da lui verso la sua porta di casa: dei mugulii arrivavano da dietro la porta.

«Ah! Ma allora avevo ragione io! C’è qualcuno… qualcosa in casa!»

Leo si sentiva perduto, era stato scoperto! Quella sensazione di inadeguatezza gli era famigliare e spesso aveva dovuto giustificarsi di fronte agli altri.

Le sue parole, tuttavia, lo stupirono:

«Signora Twinny: lei ci sente e vede benissimo e ha usato tutti i suoi sensi per torturarmi da quando mi sono trasferito qui. Vuole sapere cosa c’è dietro quella porta? Lo vuole proprio sapere??? C’è un killer, una macchina di morte pronta a saltarle alla gola ad un mio cenno. Le conviene smettere di ficcanasare nella mia vita e di farsi un’abbondante dose di cazzi suoi… altrimenti…»

«Altrimenti?» chiese la Signora Twinny, ripiegando la bocca in una smorfia e spalancando gli occhi.

«Altrimenti scatenerò la belva contro di lei! Ah, un’altra cosa: la vedo sempre mentre butta le briciole della tovaglia sul balcone di sotto, si vergogni». Leo aveva sempre desiderato sbattere in faccia alla Signora Twinny quella scomoda verità.

«Io non… »

La Signora Twinny, con fare più infastidito che sconfitto, rincasò di fretta chiudendo bene la porta a chiave.

Leo entrò in casa, chiuse la porta e si appoggiò con la schiena ad essa, mentre il cagnolone gli leccava le mani. Tirò un grande sospiro e scoppiò a ridere: quel suo essere un po’ ribelle e maleducato lo aveva fatto sentire un gran bene!

Sistemò una ciotola piena di bocconcini e un’altra con dell’acqua vicino al tavolo della cucina; aprì l’armadio e frugò nella “cesta dei svestiti” alla ricerca della felpa gialla limone: la tenne sollevata tra le mani per qualche secondo e gli occhi gli si velarono di lacrime. La indossò, prese il guinzaglio e accarezzo vigorosamente il suo nuovo compagno. «Andiamo a fare una passeggiata, Esse» disse Leo, mentre un ricciolo ribelle gli ricadeva dolcemente sull’occhio.

 

E’ solo l’inizio: Un Mondo di Parole riapre i battenti!

Scrivere, come fare teatro, è un atto sociale che ci cambia e cambia il cuore di chi legge.

Un Mondo Di Parole, il gruppo Facebook di Tramm dedicato alla scrittura creativa, riprende le sue attività secondo una nuova programmazione settimanale ricca di novità. A partire da lunedì 2 novembre fino al 18 dicembre, grazie a tre nuove collaborazioni, noi membri del gruppo saremo incoraggiati ad approfondire le nostre capacità creative con delle proposte giornaliere. Per il nuovo anno invece stiamo già lavorando ad ulteriori trasformazioni che coinvolgeranno persone da tutta Italia. Supportaci in questa impresa partecipando creativamente!

 

La nuova programmazione:

(Per visitare il gruppo, vai a questo link: Un Mondo Di Parole)

Lunedì: PENNA E POPCORN

in collaborazione con La Nottola – Rivista Creativa per Adulti e Bambini

Penna e PopCorn - Striscia per articolo

Ogni settimana Ivil Iomy, nostro insegnante dei corsi di creatività e creatore della rivista, ci proporrà la visione di un film d’animazione e una attività di scrittura ad esso ispirata. Passeremo attraverso lungometraggi in stopmotion, altri di genere steampunk, altri ancora che raccontano la guerra vista dagli occhi di un bambino ecc… Il primo film consigliatoci da La Nottola è “La Famiglia Addams” del 2019. Per scoprire l’attività creativa ad esso collegata, ti invitiamo e a fare un salto nel gruppo o a seguirci su Instagram @trammassociazione!

Mercoledì: SCRITTURA CREATIVA in PILLOLE

in collaborazione con Viviana Hutter – Creativa e Storyteller

Scrittura Creativa in Pillole - Striscia per Articolo

Abbiamo conosciuto Viviana durante il lockdown della scorsa primavera ed è stata una delle più belle scoperte che questo 2020 ci ha riservato: non succede tutti i giorni che una creativa e storyteller di Napoli e una associazione teatrale della provincia di Lecco  vengano in contatto! Dopo una prima interessante intervista che le abbiamo fatto ad aprile, finalmente abbiamo trovato un modo per collaborare. Questi primi appuntamenti in cui sarà coinvolta, consisteranno in attività di scrittura creativa mirate ad approfondire lo storytelling emotivo attraverso tecniche narrative ed espressive. Queste saranno tratte dal suo libro Scrittura Creativa in Pillole. Ma il meglio deve ancora venire: se tutto andrà bene in questi due mesi di riscaldamento, nel nuovo anno daremo inizio con lei a qualcosa di veramente speciale! Non vediamo l’ora, e tu? Seguici per non perdere tutti gli aggiornamenti!

Venerdì: CULTURISTI

in collaborazione con Frammenti Rivista – Il mondo con gli occhi della cultura

Questa terza proposta è quella che più ci incuriosisce e su cui puntiamo di più. Dopo aver sfoderato nel nostro gruppo tutte le idee più bizzarre e strampalate che l’immaginazione ci potesse offrire, è arrivato il momento di ampliare il nostro campo di ricerca creativa anche a tematiche più complesse come la bellezza, l’amore, i diritti, la morte e la giustizia, per citarne alcune.

Abbiamo deciso di farci aiutare in questo dal presidente di Frammenti Rivista, Michele Castelnuovo, che di settimana in settimana ci proporrà un articolo d’attualità redatto da uno dei tanti giovani giornalisti suoi collaboratori. Noi ci faremo interrogare dalle tematiche trattate e proveremo ad esprimere i pensieri, i sentimenti, le emozioni che queste ci suscitano attraverso delle storie o dei racconti.

 

Perché queste proposte?

Scrivere, come fare teatro, è un atto sociale che ci cambia e cambia il cuore di chi legge. Il computer, lo smartphone, i social amplificano il potenziale comunicativo delle nostre parole come mai nessuna altra tecnologia nella storia dell’uomo. Per questo pensiamo che un luogo virtuale come Un Mondo Di Parole sia utile per scoprire nel nostro piccolo come sfruttare al meglio le straordinarie possibilità che abbiamo oggi di diffondere storie buone e di farle arrivare dove possano regalare un sorriso, una riflessione o, semplicemente, un po’ di conforto. Le tre proposte sopra elencate, sono solo l’inizio: da gennaio arriveranno le vere sorprese! Seguici per rimanere aggiornato/a.

Se l’articolo ti ha incuriosito e pure tu vuoi allenarti a scrivere e ad essere creativo/a con noi, unisciti al gruppo! Iscriviti a questo link: Un Mondo Di Parole. Ti aspettiamo 🙂

Grafiche di @Marta Stamerra

I PONTI NON SEMPRE UNISCONO- Pausa prANZI!

“Dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior”

Chi mi conosce sa che ho un debole per i testi di De André, e, per citarlo, non c’era occasione migliore della nuova puntata di “Pausa prANZI!”

Ma perché riprendere proprio questa frase?
Perché oggi ti voglio parlare di un posto che si trova qui in Italia, più precisamente a Napoli. Sto parlando del Rione Sanità che si trova ai piedi della collina di Capodimonte. Non è solo il luogo dove nacque Totò, è molto di più, perché nel 2006 è successo qualcosa che ha segnato l’inizio di una splendida storia.  

Dunque, se consideriamo il fatto che è stato un luogo di sepoltura di età greco-romana, possiamo affermare, senza rischiare di cadere in errore, che il Rione Sanità ha una storia millenaria. Ma ciò che più ci deve interessare a noi oggi è che nel XVIII sec, cento anni dopo la sua edificazione, viene costruito un ponte che collega Napoli alla Reggia di Capodimonte, danneggiando così il rione; infatti, giorno dopo giorno, questa parte della città iniziò a venire isolata, fino a diventare un luogo esterno ed estraneo alla città stessa, pur facendone parte.

Proviamo ad immaginare la nostra casa isolata da tutto il resto: penso che, in questo modo, non sia difficile comprendere la gravità della situazione. Da un giorno all’altro, ogni cosa cambierebbe: se prima il quartiere veniva frequentato da un certo numero di persone, oggi sarebbe desolato, e questo vorrebbe dire che ci dedicherebbero sempre meno attenzione… anche se non dovrebbe essere così. Il tenore di vita, le abitudini, le prospettive cambierebbero radicalmente. In questo rione di Napoli qualcosa di simile è successo perché, in poco tempo, ha cominciato a perdere la sua bellezza e tra le strade è aumentata la criminalità che si muoveva facilmente andando a toccare anche i più giovani, aprendo loro porte sbagliate.
L’istinto di fuggire a me sarebbe venuto, devo essere sincera. Per fortuna, nel Rione Sanità così non è stato.

È stato proprio come diceva De André, “Dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior”. Da questa situazione di estremo disagio, il Rione Sanità è stato capace di far nasce un fiore delicato, del quale bisogna prendersi cura. La Sanità si è svincolata da una realtà degradante e questo grazie, pensate un po’, alla cultura, all’arte e alla storia di un meraviglioso angolo di civiltà. Cultura e, aggiungerei, i giovani… una combo perfetta! 

Dopo l’inizio della sua rivalutazione partita nel 2000, sei anni più tardi, nel Rione Sanità nasce una cooperativa composta da giovani, il cui nome è La Paranza. Questi ragazzi hanno fatto un lavoro stupefacente: hanno recuperato e poi preso in gestione la Catacomba di San Gaudioso per poi, qualche anno più tardi, restaurare e aprire al pubblico anche le Catacombe di San Gennaro. Dal recupero di queste aree, La Paranza ha permesso a diversi giovani di trovare un lavoro, al Rione di tornare a splendere, ai turisti di godere di interessanti tour che raccontano un’importante parte di storia della città. La cooperativa ha riqualificato 12100mq di terreni abbandonati e li ha restituiti alla comunità rivalorizzando il suo patrimonio storico artistico e culturale, contro ogni aspettativa e ridonando valore a un posto di cui ci si era dimenticati.

“Noi cerchiamo di creare lavoro dove la disoccupazione è al 60%,
cerchiamo di educare alla bellezza dove la dispersione scolastica è al 40%”
(Vincenzo Porzio- da un’ intervista che potete trovare anche voi a questo link Intervista a Vincenzo)

La Paranza assomiglia a una fenice: da un luogo di fine come lo erano le catacombe, fa rinascere tutto il quartiere come la fenice dalle sue ceneri.

Mi voglio quindi ispirare ai ragazzi che lavorano nella cooperativa per lanciare la nuova sfida.

Questa settimana dovrai provare a trasformare qualcosa che non ti piace in qualcosa di bello.
Hai due modi per farlo:

  • dipingere un quadro per decorare una stanza della tua casa che trovi poco accogliente,
  • leggere una poesia o un racconto in un angolo desolato del paese in cui vivi, per donargli nuova bellezza


Ricordati di condividere con noi la tua missione pubblicando una foto sui tuoi canali social, instagram o facebook. Non dimenticarsi l’hashtag #lavitaèunospettacolo e di taggare Tramm (@trammassociazione).

 

Per avere maggiori informazioni sulla Cooperativa La Paranza e il Rione Sanità:
Sito web: https://www.catacombedinapoli.it/it
Pagina facebook: https://www.facebook.com/CatacombeDiNapoli/

Un progetto all’anno – I progetti di Giuseppe | Pausa prANZI!

Un Progetto All’Anno

Cosa si può fare in un anno?
Portare a termine un percorso di studi,
organizzare una vacanza estiva degna di nota,
iniziare a suonare uno strumento….

Ci sono tante cose che mi vengono in mente se cerco una risposta a questa domanda, però mai mi sarei immaginata che, tra le risposte possibili, ci potessero essere “diventare un Ironman” e “scoprire la ricetta della felicità”.

È quello che ha fatto, e sta facendo tutt’ora, un ragazzo di nome Giuseppe: 30 anni, originario di Messina, ha smesso di ripetersi “Non ce la farò mai” e ha cambiato la sua vita per viverne una di cui possa essere orgoglioso.

Giuseppe, dal 2018, ogni anno si lancia una sfida. La prima è stata partecipare all’ IRONMAN,  una gara di triathlon da pazzi scatenati, lasciatemelo dire. In 365 giorni, senza alcuna esperienza, si è preparato passo dopo passo per partecipare a questa gara. Facendosi aiutare da esperti (c’è chi lo ha affiancato negli allenamenti e chi lo ha aiutato a cambiare dieta) è riuscito a raggiungere il suo obiettivo.

Dopo aver forgiato il suo fisico, superando limiti che credeva di avere, ha avviato un nuovo progetto: Progetto Happiness!
A settembre 2019, è partito per compiere il giro del mondo. Un’ esperienza che aveva già fatto in passato, ma a differenza della prima volta, ora ha un obiettivo chiaro: trovare la ricetta della felicità, intervistando persone di diversi paesi, appartenenti a diverse culture e con prospettive di vita spesso opposte. Purtroppo questo viaggio è stato interrotto a causa dell’emergenza sanitaria, ma presto ripartirà, con uno spinoff del progetto stesso, all’interno della nostra penisola.
Giuseppe è già stato in Svizzera, Israele, Libano, Pakistan, India, Cina, Corea del Nord, Giappone, Australia e Stati Uniti e ha incontrato persone come Dilavar, un manual scavenger dell’India; gli uomini come lui fanno parte di una sottocasta degli intoccabili, le persone più emarginate dalla società. Immaginati in quale situazione di disagio e povertà possa vivere Dilavar e la sua famiglia. Eppure anche lui ha un ingrediente da aggiungere a questa ricetta. Voglio che sia lo stesso Dilavar a dirtelo con la sua voce, ecco perché lascio qui il link all’intervista fatta da Giuseppe: intervista a Dilavar. Ha conosciuto anche Mohammed Al-Khatib, un ragazzo che sogna di essere il primo palestinese a vincere una medaglia alle olimpiadi; negli Stati Uniti ha visitato una comunità di suore che coltivano cannabis (fa sorridere, ma non è come pensi) e, sempre in America, ha chiacchierato con l’astronauta Luca Parmitano dopo un tour mozzafiato alla Nasa.…. e questi sono solo alcune delle persone che ha incontrato Giuseppe. 

Questo ragazzo è l’esempio vivente di quella vocina nascosta che ci dice “CE LA PUOI FARE” e che purtroppo, spesso, non ascoltiamo. Cambiare è possibile se qualcosa nelle nostre vite non ci soddisfa; è possibile cercare tra i nostri sogni quello che ci può rendere migliori, avendo costanza e determinazione per realizzarlo.

La cosa che mi piace dei suoi progetti è proprio la costanza: attraverso i suoi canali social, fa vedere al proprio pubblico l’evoluzione del suo progetto, giorno dopo giorno, senza perdere mai di vista l’ obiettivo finale. Mi piace questo aspetto perché aiuta a capire che nulla è dovuto, e che solamente impegnandosi e credendo davvero in ciò che facciamo, possiamo vedere realizzati i nostri sogni. La cosa buffa è che lui, presentandosi sui propri canali, si definisce un ragazzo ordinario; ed è proprio così, è un ragazzo di tutti i giorni, che però ha voluto credere in se stesso e con grande determinazione sta plasmando qualcosa di cui andare fiero.

Per conoscere meglio Giuseppe, le persone incredibili che ha incontrato, dalle quali tutti abbiamo qualcosa da imparare, ti invito a seguirlo sui social e visitare i siti Progetto Happiness e Progetto Liminis

Direi che è arrivato il momento anche per noi di lanciare una sfida!

Non spaventarti, nessuno dovrà scalare vette altissime o buttarsi col paracadute, anche se….
Scherzo!
Questa settimana proviamo a uscire dagli schemi, facendo qualcosa di semplice che però ci aiuti a vedere la vita da una prospettiva diversa, cercando di capire che le possibilità che il mondo ci offre sono infinite! Per prendere esempio proprio da Giuseppe e dal suo primo progetto, la sfida consisterà in qualcosa di fisico:

Scegli un giorno di questa settimana per svegliarti molto presto, prima di iniziare la tua routine, e vai a correre  per almeno 1 ora, magari in un posto che ti piace. Ti consiglio di sfruttare un giorno in cui c’è bel tempo per stare all’aria aperta. Dato che è la prima sfida, ti darò delle alternative: se non ti piace correre puoi usare la bici o farti qualche vasca a nuoto! 

Per farci sapere che ci sei anche tu, scatta una foto e pubblicala su un tuo profilo social, facebook o instagram, taggando @trammassociazione. Non dimenticarti l’ hashtag: #lavitaèunospettacolo 

Chi lo sa, magari ci prendi gusto e diventa il tuo allenamento settimanale! 

Elena

Per seguire Giuseppe:
Canale Youtube: https://www.youtube.com/channel
Profilo Instagram: www.instagram.com/progettohappiness
Profilo Facebook: www.facebook.com/giuseppe.bertuccio.dangelo

LA VITA È UNO SPETTACOLO – E tu che parte fai?

Nulla è semplice se guardata da vicino, e non sempre è semplice guardare da vicino le cose.

Ce lo insegnano sin da piccoli a contare fino a dieci prima di parlare, perché non possiamo sapere cosa sta dietro al comportamento di una persona. Crescendo è una consapevolezza che apprendiamo a seconda delle esperienze che scegliamo di fare: a me lo ha insegnato il teatro.

Recitare mi sta insegnando la complessità delle cose e delle persone. Lezione dopo lezione vengo a contatto con lati di me che non sapevo di avere, o forse che non volevo riconoscere.

Uso spesso questa metafora, è come scavare a mani nude: la terra che sta sotto non so com’è finché non scavo. Se non lo faccio, non potrò sapere se nel profondo c’è solo altra terra, se c’è acqua o perfino qualche tesoro nascosto. Più scavo, più mi accorgo di quante cose si nascondo sotto le mie abitudini e a ciò che scelgo di essere ogni giorno. Scopro di avere la possibilità di provare collera anche se mi  conosco come persona mite, la possibilità di sentirmi triste anche se cerco sempre il sorriso, di essere coraggiosa anche se, generalmente, ho timore di tutto. 

Ogni giorno scelgo di essere me stessa, ed è giusto così perché ognuno ha il proprio equilibrio; ma spesso non mi rendo conto di avere dentro un mondo tanto vario quanto è quello in cui abitiamo.  Vedere in me la complessità mi aiuta a riconoscerla all’esterno.

È per questo che da domani, due volte al mese, vi racconterò esperienze di vita particolari, che possano stimolarci; infatti ti lancerò delle sfide le quali aiuteranno, sia me che te, ad uscire dagli schemi quotidiani,  cercando così di comprendere quante possibilità ci sono nel mondo…. se solo concediamo a noi stessi di vederle. Dato che ho deciso di pubblicare  le storie con sfide annesse alle 11.30, in modo che durante la pausa pranzo ognuno possa leggere rilassandosi con la propria forchetta in mano, la serie di articoli si chiamerà: Pausa prANZI! 

Perché la vita è uno spettacolo… e tu, che parte fai? 

Elena

Se conosci persone a cui piace uscire dagli schemi usuali, segnalami le loro esperienze scrivendo una mail a info@tramm.it: selezionerò quelle più interessanti e le racconterò qui sul blog.

POLIZIESCO

Buon Rodaridì a tutti!
Anche oggi potete votare la storia che preferite accedendo a questo Rodaridì- Poliziesco

La storia che riceverà più voti, venerdì verrà premiata.  Non perdiamo altro tempo: le votazioni sono aperte solo per oggi, lunedì 8 giugno!


RODARIDÌ
 

FARFALLE NELLO STOMACO
Sono Karen Willow , professoressa di lettere antiche , sono le 22.34 di Giovedì e mi hanno pugnalato 10 volte alla schiena, mi trovo in un letto di ospedale a lottare tra la vita e la morte.
Il detective che è appena entrato nella mia stanza di ospedale si chiama Spencer, dice che faranno tutto il possibile per beccare chi mi ha fatto questo.
A dirla tutta non mi sembra molto sveglio, ma che diamine è quello che passa il convento , quindi un po’ di fiducia! E in effetti il buon detective si mette subito a cercare, inizia dal mio appartamento, nessun coltello insanguinato, non ci sono segni di effrazione , “ doveva essere una persona conosciuta , la tavola è apparecchiata per due” , “ottimo lavoro volpe!”pensa Karen , ora però andiamo più a fondo.
Spencer controlla quindi i social in cerca di un appiglio e scopre che c’è un ex marito.
“Ma razza di incompetente! Le foto sono di qualche mese fa… me le son fatte ridare le chiavi di casa!”
Difatti la pista non porta a niente, l’ex aveva un alibi, quella sera era a lezione di Teatro.
Sconfortato e perso Spencer decide di tornare in ospedale da Karen, gli spiega come le indagini si siano arenate e gli mostra tutto il suo sconforto. “Lo sapevo io che con questo marcavo male..”,pensa la ragazza.
Vorrebbe tanto dirglielo che stava frequentando Luke ormai da qualche mese, voleva dirgli che avrebbe potuto leggere tra le righe del suo diario tutta la gelosia di quell’uomo, voleva raccontargli di tutta la sua ira quando tornava a casa la sera dopo una serata con le amiche… ma niente, le dieci pugnalate ricevute risuonavano più forte della sua voce.
Spencer però sembra percepire qualcosa ed esclama: “dobbiamo ricontrollare casa, torno presto Karen!”
“Bravo ragazzo!”.
Spencer fa ricontrollare accuratamente la casa e in un doppio fondo scopre il diario segreto di Karen, tra le sue pagine legge quanto amava Luke , vede le farfalle che le popolavano lo stomaco e le vede poi cadere, una ad una dentro un vortice di follia.
Controlla il cellulare di Karen ma non trova nessun Luke, legge allora le chat.
Si accorge di una certa “Giovanna contabilità” con cui aveva uno scambio assiduo e molto concitato di messaggi; scorrendo un po’ si ritrova sommerso da messaggi pieni di cuoricini e faccine innamorate, era certamente Luke… allora la storia è iniziata prima.. furbina.
“Mi hai beccata” pensò Karen, ma forse ora sarebbe meglio pensare ad altro.. non credi?
Spencer trova l’indirizzo e si precipita a casa di Luke dove trova l’arma del delitto e le chiavi di casa di Karen, beccato.
Corre felice verso l’ospedale , per dire a Karen che ora è al sicuro , che il suo aggressore non potrà più tormentarla.
Vede un pugno di medici ed infermiere su di lei, non riesce a dire niente.
Ora del decesso 18.31.
Sospira: “grazie, Karen, senza il tuo aiuto non ce l’avrei mai fatta!”

Di Davide a N

THE PERFECT DRUG
In un ristorante alla tavola della moglie di Anselmo”, ad Aprile 2020, scoppia un incendio. Il ristorante è rovinato. Le indagini riportano che il ristorante era fallito , i dipendenti erano stati liquidati per tale causa, e il capo è pieno di debiti. Vengono rinvenuti pezzettini di tessuto e di plastica.
Il capo, coi poliziotti , parla dell’ultimo giorno di lavoro,e del caso di due ragazze madri lasciate da sole. Una na perso una borsa quel giorno nel ristorante, che è bruciato il giorno dopo. L’altra l’ha accolta in casa sua.
Il capo un giorno dopo le indagini…rivela una scritta su di una porta bruciata
The perfetta drug that you sell has destroyed you and hour dirty servants. I am saved, instead of you.
Perché in inglese?
E reinterroga i suoi dipendenti…
Ma le madri sono scomparse.
“The perfect drug”
Di Mirko
SABATO 14 AGOSTO 2005
La hall del hotel era piena di clienti dalla Germania, con i loro assurdi sandali con calzino bianco indossato tipico del classico turista tedesco, ma comunque erano buoni clienti sempre presenti e sopratutto paganti.
Il direttore ci mise un po’ di tempo per accontentarli tutti , ma il fatto che parlasse tedesco aiutò molto la cosa, il nome del direttore era salamella , suo nonno era tedesco e si chiamava hugo adler ed originario di Berlino, dopo la guerra andò in Italia in vacanza e conobbe Adelina che era mia nonna, faceva la cameriera in un albergo a Fano, una località di mare nelle marche, si innamorarono subito, mio nonno era una persona buona e forte, ebbero tre figli: mio padre Giulio, mia zia Rachele, e mia zia ruth(in onore della madre di hugo, era ebrea), dopo qualche anno comprarono un hotel e lo chiamarono MAR ROSSO, ora samuel gestiva l’hotel con la sua giovane assistente Silvana.
Samuel aveva 35 anni e non era sposato, non aveva tempo per l’amore, il suo lavoro esigeva molto impegno e poco tempo per le le distrazioni…anche se di tanto in tanto qualche avventura se la concedeva di tanto in tanto…
DOMENICA 15 AGOSTO
La colazione buffet era pronta: tutti i tavoli erano puliti e il personale disponibile, ad un tratto una signora tedesca scese gridando:HILFE HILFE, voleva dire aiuto in tedesco, samuel chiese cosa fosse successo, le disse che la sua amica era morta..
Samuel corse in camera con la sua assistente Silvana, entrò e vide questa donna seduta sulla poltrona, sembrava stesse dormendo, le toccò il polso e vide che era morta, chiamò con il suo cellulare il 112 e poco dopo arrivarono i carabinieri con il loro nuovo comandante: FRANCESCA RIZZO,era alla sua prima indagine a Fano,si era trasferita da Palermo per stare vicino al padre malato, NON TOCCATE NULLA: disse il comandante si guardò intorno e vide che la cassaforte della stanza era aperta, il denaro e i gioiellieri erano ancora li, prese la carta di identità , la vittima si chiamava HELGA fischer, 70 anni di Berlino, veniva da anni in vacanza in Italia, amava il mare e la cucina italiana, vedova e senza figli, trovò anche un piccolo sacchetto con dentro una croce al valore militare tedesco della seconda guerra mondiale, forse una traccia pensò il comandante.
Nel frattempo samuel che era rimasto colpito dalla bellezza austera del comandante: occhi verdi e capelli corti neri, si fece aventi per essere disponibile: VOGLIO che raduniate tutti i turisti tedeschi nella hall e voglio un interprete che traduca le mie domande disse con piglio deciso, ma io parlo tedesco sorridendo samuel, rispose di no, ricambiando il sorriso Francesca, un colpetto di gomito di Silvana riportò samuel alla realtà.
HELGA non era una persona tale da giustificare un omicidio, era un po’ scorbutica, precisa, ma anche sorridente, e amava il mare adriatico, Francesca lesse il rapporto e chiamò quattro persone più samuel(che era sempre più affascinato dal comandante), dunque disse lei: c’erano presenti Silvana(che aveva avuto qualche scambio quasi feroce con helga per via della connessione internet e del cibo), il cameriere gianni( che fu accusato da helga di avergli rubato il suo telefono, la sua amica e compagna di stanza Rachele stein(aveva scoperto che helga simpatizzava per un partito neo-nazista, Rebecca era ebrea), e il suo amico karl( erano stati fidanzati da giovani)…
Uno di voi aveva qualche motivo particolare per avercela con la vittima, ma solo uno è potuto entrare nella stanza ed ucciderla con una siringa di cianuro, e la persona è..
Carlo

DETECTIVE CARLOS GONZALES
Carlos Gonzales sin da piccolo ha sempre avuto uno spiccato senso investigativo.
Viveva in un quartiere “ la rambla”a Barcellona dove personaggi , volti bizzarri e ingannevoli, trascorrevano gran parte della giornata tra prostituzione, droga e crimini di ogni genere per sopravvivere.
Carlos viveva con i genitori e quattro fratelli più piccoli in un appartamento decrepito, la luce gialla e fioca penetrava da un vecchio lampione sul viale, vicino, un bidone della spazzatura era impossibile avvicinarsi per l’olezzo che emanava.
Appostato per ore davanti alla finestra a piedi nudi con la coperta sulle spalle per il freddo, incominciava e in gran segreto, scopriva loschi affari che avvenivano davanti a lui.
Dopo anni di sacrifici e lavori umili raccolse il denaro sufficiente per poter entrare nella scuola spagnola D & L Group Detective.
Arrivò il giorno del fatidico e sospirato “pezzo di carta “ laurea in giurisprudenza e criminologia.
Nello studio dell’avvocato Diego Pamplonas esercita il suo tirocinio con ottimi risultati, era dotato di forte intuito, intelligenza e fiuto investigativo.
Drin drin drin : un forte squillo irrompe nello studio; avvocato: e stato rinvenuto un cadavere in riva al fiume con la testa mozzata travestito da donna, l’incarico è suo, si ok darò l’incarico a Carlos.
Carlos si! rispose, recati al fiume, troverai un cadavere non identificato e scopri chi è, prendi la mia macchina.
Carlos si precipitò sul viale, una vecchia mercedes nera lo stava aspettando, uno strano e fastidioso dolore allo stomaco lo attanagliava, forte l’agitazione che nemmeno riusciva a mettere in moto la macchina: drm drum drum accese in contemporanea la radio che gracchiava pure lei…. dai cazzo, porca puttana, merda, e il motore si avviò , giunse sul luogo del delitto.
Si trovò davanti una scena raccapricciante, un uomo di corporatura robusta sulla sessantina, evidenti ecchimosi su tutto il corpo, la testa mozzata poco distante dal corpo, notò subito un orecchino di medie dimensioni al lobo sx, lo staccò e lo mise in un sacchetto.
La polizia aveva già delineato la zona e con della vernice rossa tracciò la posizione del cadavere, si chiamava Francisco Escobar.
Il cervello lavorava a una velocità impressionante, un feedback lo riportò davanti alla sua finestra in piedi al freddo e a quel puzzolente bidone vicino casa.
Una figura vestita di nero che spesso arrivava nel quartiere per portare un pò di aiuto a chi non aveva nulla, il susseguirsi di incontri e scambi sospetti.
Tutto era ben chiaro nella mente di Carlos, l’orecchino sul lobo del cadavere apparteneva a una prostituta, Alona, ricca e conosciuta soprattutto nel mondo della droga, aveva sempre con se una bagh nakh arma indiana “artiglio di tigre” per difendersi.
Corse a perdifiato nella sua vecchia casa ridotta a un rudere, ma non era il bidone a richiamare la sua attenzione, ma la casa stessa: entrò pian piano, senti’ delle voci provenire dal fondo e li vide il prete, tra le mani l’artiglio di tigre, la faccia tumefatta di Alona, il lobo sx spaccato in due, si ricordò dell’orecchino che teneva con se, lo esamino attentamente, l’orecchino conteneva una sostanza al THC, droga molto ricercata e costosa, ormai tutto era chiaro.
Ricostrui in breve tempo tutto l’omicidio, il prete ricattava Alona, si impossessava dei soldi guadagnati, il cadavere ritrovato era di Francisco Escobar, noto personaggio nel mondo della droga, proprietario della vecchia casa di Carlos e amante segreto di Alona.
Alona possedeva questo orecchino e lo diede ad un suo cliente per depistare il prete sui continui ricatti.
Il cadavere travestito da donna: ucciso da chi e perché? Chiaro, molto chiaro!
Chi era a conoscenza del doppio uso dell’orecchino? In quel momento arrivò la polizia e aggiunse, che aspettate, portate via l’assassino! Giustizia fatta, caso definitivamente chiuso.
Prese una birra dalla macchina, accese la sigaretta e se ne andò a piedi lungo il fiume, DRIN DRIN DRIN…… siii ….
Carla

Carla dedicata a Carlo Vitale

Facci sapere quale storia ti è piaciuta di più votandola a Rodaridì- Poliziesco
Se vuoi partecipare anche tu, dai un’occhiata al gruppo Un Mondo di Parole e inviaci una storia il prossimo weekend a info@tramm.it